Felice De Simone: un secolo di storia nella memoria. 105 anni di vita e ricordi.

Felice De Simone: un secolo di storia nella memoria. 105 anni di vita e ricordi.

di Marco Scarpiello

Nevicata straordinaria - 1935

Felice De Simone – Isole Tremiti – Nevicata straordinaria – 1935

Sono passati quasi cinque anni da quando mio nonno Felice ci ha lasciato. Erede dei suoi preziosi ricordi della memoria, ho maturato l’idea di trasferire sulla carta i suoi racconti di una vita che ha attraversato l’intero secolo scorso e che lo rendono prezioso testimone di importanti vicende storiche della nostra terra.

Nato a Carlantino l’1 maggio del 1906, terzo di 11 figli, Felice De Simone è vissuto a Lucera sino al 1955 per poi trasferirsi a Foggia. Dal 1939 prestò servizio, quale impiegato civile del Ministero dell’Interno, prima in Questura e poi in Prefettura. Suo nonno, Pietro De Simone, fu sindaco di Carlantino agli albori dell’Unità d’Italia, quando dalle nostre parti imperversava il brigantaggio; sua madre, Giuseppina Petti, era nipote di Giandomenico Romano, Ministro di Giustizia nel 1860 del Governo Provvisorio di Napoli retto da Giuseppe Garibaldi e successivamente Senatore del neonato Regno d’Italia. Una sua prozia, Adelaide Sbordone, fu fatta giustiziare a Napoli da Ferdinando di Borbone per la sua adesione alla Carboneria.

Mio nonno era un autentico scrigno di ricordi che partono dal novembre 1913, quando si svolsero le prime elezioni a suffragio universale maschile d’Italia. All’epoca aveva sette anni e mezzo e ricordava con precisione un curioso episodio: “Mio padre era un liberale, tutti sapevano che votava per Antonio Salandra. Nel corso della campagna elettorale a Carlantino venne da San Severo per tenere un comizio il socialista Leone Mucci il quale, per dispetto, fece suonare sotto il nostro balcone le note dell’Internazionale Socialista”.

Non aveva partecipato alla prima guerra mondiale, era un ragazzo di 12 anni quando finì, però rischiò di morire lo stesso perché nell’ottobre del 1918 contrasse la febbre spagnola. Fu fortunato, sopravvisse; a Carlantino, dove era nato e viveva, morirono tanti bambini che conosceva.

Tra il 1926 e il 1927 svolse il servizio militare nella città di Perugia dove ebbe modo di conoscere Guglielmo Marconi in occasione di un suo incontro con il Comandante, Generale Cotroneo, di cui Felice era tra gli attendenti.

A riconoscimento del prezioso, duraturo servizio prestato, il Presidente della Repubblica con Decreti del 2 giugno 1966 e del 13 gennaio 1972, gli conferì l’onorificenza di “Cavaliere” prima e di “Ufficiale” poi, dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

In occasione del suo 101° compleanno il sindaco di Foggia Orazio Ciliberti  partecipò ai festeggiamenti consegnandogli una targa ricordo a nome della Civica Amministrazione e della Città di Foggia.

Nonno Felice era una sorta di manuale di storia vivente: ricordi che spaziavano dalla febbre spagnola, che imperversò in Capitanata nel 1918, all’esperienza di segretario amministrativo presso la Colonia penale delle Isole Tremiti negli anni ’30, ed ancora, dai bombardamenti su Foggia del ’43 alla caduta del regime fascista e all’arrivo degli Alleati.

foto di gruppo con amici e colleghi 1934

Isole Tremiti – 1934

Fra i ricordi particolari c’era il periodo dal 1933 al 1936 trascorso quale segretario amministrativo presso la Colonia Penale delle Isole Tremiti dove all’epoca erano rinchiusi delinquenti comuni che si erano macchiati di reati particolarmente gravi nonché confinati politici e prigionieri provenienti dalla colonia della Libia. I ricordi di nonno risalivano ad oltre sessant’anni prima, ma erano ancora nitidi: “Quando fui inviato alle Tremiti avevo 28 anni, lavoravo già da anni al Ministero dell’Interno ed ero reduce come funzionario da due missioni di assistenza ad Ariano Irpino ed a Senigallia, città colpite nel 1930 dal terremoto. Certo quando appresi della destinazione non feci salti di gioia perché lì anche chi lavorava si sentiva recluso, trascorrevamo mesi e mesi di continuo in quelle isole: l’unico collegamento era il piroscafo. Ricordo che durante il mio soggiorno lavorativo alle Tremiti i confinati politici erano 37. C’erano avvocati, medici, politici, fra gli altri anche Sandro Pertini. Fu lì che conobbi Amerigo Dumini, lo squadrista che il 10 giugno 1924 guidò il gruppo che rapì a Roma Giacomo Matteotti uccidendolo con una coltellata”.

La colonia penale 1935

Colonia penale – 1935

Così ricordava l’assassino del deputato socialista: “Era di bell’aspetto, atletico e se la passava meglio di noi che avevamo a disposizione degli alloggi mediocri mentre lui era ospitato in un villino separato dalla colonia penale e con una squadra di carabinieri di guardia. Si lamentava della noia che inevitabilmente si soffriva alle Tremiti, però aveva a disposizione un assegno mensile di quattromila lire. Dumini girava in barca e faceva escursioni accompagnato dai carabinieri e la sera nelle vie del paese sfoggiava bei vestiti. Era una sorta di ospite costretto a non poter uscire da una prigione dorata. Era una persona affabile, chiacchierava con me e con il sottufficiale dei Carabinieri addetto alla sua sorveglianza, qualche volta giocavamo anche a carte, guai però ad accennare alla vicenda del delitto Matteotti, appena si tirava in ballo quell’argomento cambiava umore e smetteva di parlare”.

Panorama 1933

Isole Tremiti – Panorama – 1933

I ricordi della sua permanenza alle Tremiti non si limitavano al solo Dumini. Fra gli altri: “Ricordo il figlio di un pascià della Cirenaica, una delle regioni della colonia libica, che aveva a disposizione ogni mese un ricco assegno che gli spediva il padre. Gli piaceva giocare d’azzardo a carte e spesso perdeva subito i soldi giocando con gli isolani per i quali era una sorta di involontario benefattore”.

Nella sua stanza alle Tremiti - 1934

Nella sua stanza alle Tremiti – 1934

Ingresso uffici 1935

Uffici colonia penale – 1935

 

 

 

 

 

 

 

Finita l’esperienza lavorativa alle Tremiti, rientrò alla Questura di Foggia, il che gli consentì di sposarsi nel 1939 nella cattedrale di Lucera, città dove la sua famiglia si era trasferita da Carlantino nel 1920. Come raccontava: “Il trasferimento dalle Tremiti fu per me una sorta di liberazione, lì oltre al lavoro e alla pesca non c’era molto da fare”.

Nonno Felice trascorse il periodo della seconda guerra mondiale presso la Questura di Foggia, vivendo in prima linea la terribile stagione dei bombardamenti, giacché era al comando delle squadre che avevano l’ingrato compito di perlustrare la città. I sui ricordi evocavano la terribile pagina di storia vissuta da Foggia nell’estate del 1943: “Che tragedia, noi come funzionari della Questura eravamo tenuti ad intervenire, a cercare di fare qualcosa per tutta quella povera gente che si aggirava fra le macerie. Io vivevo a Lucera e siccome era pericoloso prendere la littorina Lucera–Foggia, ogni giorno, spesso mattina e pomeriggio, venivo a lavorare a Foggia in sella ad una bicicletta Bianchi color melanzana, tuttora usata da mio nipote Marco. Ogni viaggio quotidiano sotto i bombardamenti, procurava tanta angoscia in famiglia; mia moglie e mio figlio li avevo fatti trasferire a Carlantino per sicurezza. Un giorno in cui caddero bombe su Foggia potei rientrare a Lucera soltanto a tarda sera, trasportato su un carretto malandato, stravolto e ricoperto da polvere di calcinacci, tanto che al mio arrivo venni riconosciuto a fatica dai miei congiunti. Da Lucera, utilizzando un binocolo, era possibile vedere l’angosciante spettacolo  dei bombardamenti su Foggia, che di notte appariva illuminata e da cui giungevano i rumori delle forti  esplosioni”.

Cortile Prefettura anni '50

Foggia – Cortile Prefettura anni ’50

Ricordava ancora: “Io avevo vissuto l’esperienza di portare soccorso come funzionario del Ministero dell’Interno a cittadine terremotate come Ariano Irpino e Senigallia, mi ero purtroppo già confrontato con realtà fatte di morti e macerie, ma quello che vidi a Foggia in quell’estate del 1943 fu molto, molto più brutto. Ho ancora nella mente l’immagine di una donna colpita da una scheggia che le recise di netto il capo e che, pur decapitata, non cadde immediatamente, rimase in piedi qualche secondo quasi riuscisse a fare un altro passo…”.

Altri tristi episodi ricorrevano spesso nei ricordi del nonno: “Un giorno, al suono delle sirene d’allarme, mentre io ed altri ci rifugiavamo negli ambienti più interni e sicuri dell’edificio, un collega ebbe una crisi di nervi al pensiero dei cari lasciati a casa. Cercammo di calmarlo e di dissuaderlo dal proposito di correre verso casa, io stesso tentai di trattenerlo per le braccia ma non ci riuscii, scappò fuori e purtroppo rimase ucciso dalle bombe. Una delle bombe cadde nelle immediate vicinanze dell’edificio, tanto da sventrarne una finestra e lasciare danni ancora visibili in Piazza Martiri Triestini. Nell’Ufficio ci sentivamo comunque abbastanza sicuri considerata la possente struttura dell’edificio; lo spessore dei muri era tale che in un’occasione furono necessari circa tre giorni di lavoro per praticare un’apertura”.

Raccontava ancora: “Un altro episodio che mi è rimasto impresso nella mente si verificò un giorno in cui, mentre attraversavo Via Mazzini, ora Corso Garibaldi, all’altezza della sede del Credito Italiano, vidi alcune donne che si allontanavano precipitosamente dall’edificio della Standa a seguito di una improvvisa incursione aerea. Percorsi pochi metri, furono falciate a morte dal fuoco delle mitragliatrici degli aerei. Altro triste e sconvolgente spettacolo vidi all’interno della Villa Comunale dove ci fu un vero e proprio eccidio causato dai mitragliamenti effettuati nel corso di incursioni aeree a bassa quota”.

con i colleghi

Con i colleghi

Raccontava anche di quando fu ferito alla gamba da una scheggia: “Quel giorno fummo mobilitati tutti in Questura, c’era tanta povera gente da aiutare, mantenere ordine in città; mi ritrovai assieme ad altri colleghi nel mezzo di un bombardamento. Fummo colpiti io ed un mio collega, per fortuna in modo leggero: dovevamo compiere il nostro dovere, non potevamo certo starcene in ufficio, c’era tanto da fare per aiutare i poveri sfollati, fui fortunato a non morire”.

Diceva: “Quell’estate del 1943 a Foggia fu un’esperienza terribile, un dramma che ho ancora impresso nella mente a distanza di oltre sessant’anni. Ho visto con emozione in tv il 25 aprile 2007 la cerimonia di Roma con la consegna della medaglia d’oro alla città di Foggia, è stato un giusto riconoscimento per la tragedia vissuta”.

AM LIRA

AM-LIRA, la moneta che venne messa in circolazione dall’Amministrazione militare alleata sul territorio Italiano.

Fra i ricordi di nonno Felice, anche la fine del regime fascista il 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre: “La guerra – riferiva – aveva fatto crollare in noi la fiducia nel Duce, vedere pure a Foggia tanta gente morire sotto i bombardamenti ci aveva fatto vivere intensamente la tragedia del conflitto e così quando avemmo notizia della destituzione di Mussolini lanciammo gli stemmi del Fascio in faccia al segretario politico. Certo vennero altri bombardamenti, altre distruzioni, poi l’arrivo degli alleati, dei soldati canadesi, il saccheggio dei nostri uffici ad opera di delinquenti comuni. Ricordo che durante l’occupazione alleata spesso avvenivano in città dei sequestri di AM Lire false per cui quasi quotidianamente avevo contatti con gli alleati che venivano in Prefettura per consegnare sacchi pieni di banconote da distruggere”.

Nonno  Felice si è spento serenamente nel 2011, all’età di 105 anni.

 

 

Tutte le foto sono tratte dall’archivio personale di Marco Scarpiello

 

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