Teatro Umberto Giordano

Teatro Umberto Giordano 

di Alessandro Brescia

Sia per l’inadeguatezza del vecchio teatro che per l’impossibilità di utilizzarne il sito per una nuova struttura, il Decurionato (simile all’amministrazione comunale), attraverso il sindaco Antonio Celentano, deliberava il 9 Gennaio 1818 la costruzione di un novo teatro. L’Intendente di Foggia, Intonti, durante un viaggio a Napoli, incaricava personalmente gli ingegneri napoletani Giuliano De Fazio (ingegnere dipartimentale di Napoli) e Giuseppe Panico di redigere il progetto del teatro da costruirsi in una zona periferica dell’abitato, al posto della chiesa di San Rocco, da demolirsi, accanto al <<Piano delle fosse>> Progetto teatro I proprietari foggiani, ancora una volta, intervenivano con una sottoscrizione, rinunciando a percepire gli interessi sui prestiti fatti per le forniture austriache. Per il teatro era previsto un ridotto alle spalle per istituirvi una decente Accademia di conversazioni in alcuni giorni della settimana. L’11 giugno veniva presentato il progetto completo di pianta, prospetto, ridotto e un modello in legno (costruito da un artigiano napoletano per 282,90 ducati) necessario per far comprendere i motivi dell’adozione, per il teatro, di una forma che si allontanava dal tipo dei teatri della Capitale. Pianta teatro2 Dalla considerazione che i requisiti più importanti per un edificio teatrale, <<destinato interamente al piacere>>, erano la comodità , che nessuno architetto doveva sacrificare a qualsiasi altra considerazione, e di conseguenza la visibilità , essi sceglievano una forma rispondente a tali requisiti. Rilevando che le forme a ferro di cavallo o ellittiche dei tetri della Capitale, avevano il difetto di obbligare gli spettatori situati nei palchi prossimi al palcoscenico ad avere la visuale diretta nei palchi opposti, a vedere lo spettacolo trasversalmente in modo che, distratti dalla vista dell’interno delle scene <<perdevano molta parte di illusione>>. De Fazio e Panico proponevano per il teatro di Foggia una forma a semicerchio, l’unica che permetteva di vedere il meno trasversalmente possibile da tutti i punti. All’obiezione che questa forma determinava una capienza minore, rispondevano che il teatro non poteva essere <<oggetto di speculazione degli impresari ma un monumento durevole del progresso delle Nazioni delle Arti>>, ed era preferibile ripetere per più sere lo spettacolo piuttosto che costruire un teatro più grande, ma difettoso e per questo non frequentato. Nel modello avevano inserito degli ornati a bassorilievo per evitare i pregiudizi di coloro <<che credono conoscere il segreto non ancora dimostrato per rendere un teatro sonoro>>, ma consigliavano di adottare ornati dipinti che offrivano dei chiaro-scuri più pronunciati, si conservavano più a lungo senza annerire, si potevano lavare facilmente. Il 27-6-1818 il Ministro degli Interni comunicava l’approvazione regia avvenuta nello stesso giorno. Dall’offerta  del falegname Nicola Nuzzi, per i lavori necessari (soffitto, palchi, platea, scenari, macchine), apprendiamo che il teatro prevedeva 52 palchi che misuravano 8 palmi di luce (2,10m). L’anno successivo il Decurionato  recuperava circa 24.626 ducati (21.000 di capitale per valuta degli argenti che il Comune doveva conseguire dal Real Tesoro e 3.626 dal pascolo dell’Incoronata). Il 7 luglio 1819 arrivava l’autorizzazione regia per intitolare il teatro <<Real Teatro Ferdinando>>, tuttavia, la scelta del sito e le esose richieste dei proprietari dei suoli individuati ponevano in difficoltà il sindaco. Infatti, si rinunciava ad utilizzare la zona occupata dalla cappella rurale di S. Rocco per vari motivi: l’abbattimento della stessa, l’ubicazione pressoché periferica in rapporto al centro cittadino, e soprattutto la peculiarità morfologica del suolo che, costellato di fosse di grano, avrebbe richiesto maggiori oneri per le opere di sbancamento e diversi accorgimenti tecnici per la messa in opera della struttura portante della nuova fabbrica. Successivamente, nel 1825, venne incaricato a soli 35 anni, dall’Intendente  Provinciale, Luigi Oberty. Egli si apprestava così a progettare nuovamente il teatro. Il 10 luglio lo stesso Oberty aveva inviato il progetto e il dettaglio di spesa, approvati il 18 luglio dello stesso anno, mentre i lavori venivano appaltati all’impresa Curci di Avellino. Si optò per una zona <<di fronte al Palazzo dell’Intendenza>> al centro della città, di proprietà del marchese Celentano. Le richieste del marchese erano esose e si  ripose l’attenzione su un terreno di proprietà del Saggese, del  Filiasi, del Capitolo di Santa Chiara e dell’Annunziata, ma i suddetti non vollero trattare la vendita. Dopo una petizione dei cittadini con l’appoggio del Cav. Nicola Santangelo si poneva così la prima pietra del nuovo teatro vicino al palazzo Scillitani in via Gesù e Maria (oggi corso Vittorio Emanuele) e affidava allo stesso Oberty la direzione dei lavori. Le operazioni di cantiere iniziarono il 4 ottobre 1825, ma eseguite le fondamenta i lavori furono presto sospesi; le cause probabilmente vanno cercate nella protesta dei proprietari delle abitazioni che dovevano essere demolite e nella inadeguatezza delle indennità di esproprio. Dopo la sospensione di circa 3 mesi, si cambiava nuovamente il sito del teatro tornando a costruirlo sulla piazza del mercato, presso la chiesa di San Rocco (secondo la proposta originaria dell’Intendente Intonti, 1818). Per il sollecito intervento del sindaco marchese E.A. Celentano e dello stesso Intendente presso la Corte, un altro rescritto regio (10 gennaio 1827) autorizzava definitivamente la ripresa della costruzione del nuovo teatro che doveva avvenire senza imporre nessun nuovo dazio per ricavare la somma necessaria senza ulteriori blocchi. Successivamente l’intendente approvava la proposta di apporre lo stemma comunale sulla facciata del teatro.

Il Real Teatro Ferdinando Dis. di mario Soro

L’inaugurazione avveniva il 10 maggio 1828 con il melodramma <<La sposa fedele>> del cav. Giovanni Pacini. Alcuni giorni dopo si dava il melodramma del Valentini <<Annina>> ovvero <<L’orfanella di Ginevra>>. Il 29 maggio l’ing. Oberty redigeva la misura finale dei lavori. Importante fu la velocità di esecuzione dei lavori, meno di due anni e mezzo.

Teatro 1902

Negli anni a seguire il teatro subì alcuni rimaneggiamenti, accompagnati da polemiche, a causa dei danni originati dalla rottura dell’architrave, di pietra calcarea situato sulle colonne del portico d’ingresso, dallo scomporsi di gran parte del pavimento della sala del ridotto e soprattutto dal quadro fessurativo apparso sui muri del prospetto principale e di quello secondario. In Oberty venne, a questo proposito, riposta poca fiducia tanto da portare lo stesso ingegnere a scrivere un lungo rapporto che inoltrò all’Intendente provinciale dove trapelava un’indignazione per la scarsa fiducia. Per attenuare le polemiche Oberty , intervenne affrontando il problema della stabilità del portico d’ingresso, e nel 1836 iniziò i lavori di ristrutturazione, sostituendo l’architrave in pietra e il colonnato con  un portico ad archi, ispirandosi al prospetto del porticato della  Scala di Milano.

Caduti i Borboni venne chiamato “Teatro Dauno”. Infine  il 23 agosto 1928, a cento anni dalla sua fondazione, il teatro veniva dedicato al musicista foggiano Umberto Giordano.

Teatro Giordano 1

Bibliografia:

– “Luigi Oberty e la diffusione del neoclassicismo nell’Italia meridionale” di Caracozzi Antonietta;

– “Materiali e tecnologie dell’architettura” di M.C. Torricelli R. Del Nord P. Felli.

Qui di seguito  troviamo alcune foto di piante progettuali inerenti alla ristrutturazione più recente.

Cliccare sulle foto per ingrandirle

Planimetria Data007

 

 

 

 

 

 

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