Storia del teatro

“Sul Palcoscenico di vita della nostra città ci sono attori che lasciano un ricordo indelebile nei nostri cuori, anche se a volte per loro il sipario si chiude in maniera brusca e precoce”

Lo stralcio della tesi di laurea presentata da Mario del Sordo alla sua seduta di laurea, pubblicata qui di seguito, che tratta la storia del teatro Foggiano, vuole mantenere vivo il ricordo della sua presenza tra tutti noi.

STORIA DEL TEATRO

di Mario del Sordo

Mario del Sordo

A Foggia,  dominata dai Borbone, nasce nel XVII secolo alla corte doganale  il primo teatro gestito e voluto dal Governatore.

L’inizio dell’attività teatrale si può collocare nel 1698, quando il governatore Guerriero, per ospitare Francesco della Puca, membro a Madrid del Consejo de Italia, organizzò un intrattenimento scenico.

Da vecchi zibaldoni dell’archivio napoletano si possono desumere notizie riguardanti l’attività teatrale sin da prima dell’anno 1700. E’ datata 4 novembre 1709 la prima notizia ufficiale riportata dalla Gazzetta Napoletana, circa la rappresentazione di due opere presso la sede doganale. Si trattava dell’Amor trionfa fra l’armi e L’amante ovvero l’infido leale. Ad ogni modo sarebbe riduttivo tentare di assegnare una data alla nascita dell’attività teatrale nella “città delle fosse”, in quanto in essa è sempre esistita la passione per la musica e la teatralità.

A Foggia, infatti, nacque Enrico Radesca, celebre compositore di musica sacra, di madrigali e di concerti presso la corte torinese del Seicento.

Dal punto di vista logistico, il salone del teatro si collocava nell’antica e vecchia sede della Regia Dogana di Puglia, almeno fino al 1731, anno del disastroso terremoto; lo stesso spazio era utilizzato anche dal Tribunale della Dogana che possedeva una struttura teatrale provvisoria. Il tragico evento ebbe innumerevoli ripercussioni a livello socio-economico, tra i quali il rapido processo di urbanizzazione che portò alla formazione di quartieri fuori le mura.

Un secolo più tardi, nel 1831, queste zone presero il nome dialettale di quartè e saranno descritte come i borghi destinati alle classi più umili: i terrazzani, i carrettieri e i bifolchi, tutte figure che entrarono con fortuna nell’immaginario collettivo e di conseguenza nel teatro foggiano; a Foggia il Terrazzano come a Napoli Pulcinella.

Copertina tesi Mario del Sordo

Passati alcuni anno dal disastroso terremoto che lasciò Foggia priva di rappresentazioni sceniche, fu il Governatore Marchant a ordinare la costruzione di un vero e dignitoso teatro, seppur di dimensioni limitate, che permettesse di rappresentare opere liriche e commedie. Finalmente il 14 aprile 1746 fu solennemente inaugurato il nuovo teatro della Dogana di Foggia. Il cartellone della prima stagione, grazie all’operato dell’impresario Pascalino, vedeva la partecipazione di due dei più noti cantanti del tempo: i coniugi Antonio Catalano e Margherita Pozzi. Particolarmente fortunato fu il Pascalino nel contattare lo sconosciuto Gioacchino Cocchi, il quale diventerà il direttore musicale del King’s Theatre di Londra. Il teatro, nonostante fosse connesso alla grande fiera di maggio, nella quale c’erano anche gli spettacoli e cantastorie, chiuse i battenti nel 1748, sommerso dai debiti.

L’improvvisa morte del Governatore Marchant, il mecenate e protettore della vita teatrale foggiana, avvenuta il 16 gennaio del 1748, contribuì al suo fallimento. Tale notizia amareggiò e sconvolse i cittadini amanti dello spettacolo e soprattutto dell’opera comica, che godeva di una vera e propria passione diffusa tra tutte le classi. Da non trascurare è la parentesi extraspettacolare di carattere mondano, di cui godeva la vita teatrale e che in qualche modo ne aumentava la popolarità tra le genti. Notizie del 1766 circa, raccontano di come la prima attrice Maria Cecilia Coletti fu molto famosa tra i foggiani più per la sua bellezza annientatrice, causando la rovina di tanti uomini, che non per le doti sceniche.

L’attività teatrale, nonostante le condizioni sfavorevoli, si protrarrà in questa sede fino al 1804, anno dell’inaugurazione del Maria Carolina. Nel 1797 si ha una delle rappresentazioni più importanti per Foggia e la Capitanata, la Daunia Felice del celebre compositore d’opera Paisiello in onore del matrimonio tra Ferdinando IV e Maria Carolina. L’evento fu di notevole importanza per la città, in quanto con l’occasione della felice visita, riceveva dalla capitale Napoli i fondi necessari per rimettere a nuovo il teatro e le vie principali. La Daunia Felice segnò la fine delle feste teatrali, un genere particolare celebrato in occasione di nozze, nascite ed onomastici dei sovrani, diffuso nel Seicento e nel Settecento. Nei repertori di Paisiello molto spesso l’autore del libretto è ignoto, ad eccezione dell’opera in questione in cui il merito và attribuito al foggiano Francesco Saverio Massari, poeta estemporaneo.  Il 12 maggio 2002, a cura del Conservatorio di Foggia, per volontà de La Società Dauna di Cultura, la Daunia Felice di Paisiello fu riproposta nella sua interezza al Teatro Giordano.

Dalla platea alla piazza il passo fu breve: gli spettacoli in piazza godevano di una certa tradizione ormai diffusa in tutto il Mezzogiorno. Non si trattava di spettacoli plateali, come le esibizioni di mangiafuoco, giocolieri e prestigiatori, ma di cantastorie che portavano in piazza le vicende carnevalesche che prendevano spunto dalle tragedie popolari, tipiche dei rioni napoletani. Svariate erano le occasioni per fare teatro, oltre che in occasione delle festività religiose, gli spettacoli avevano luogo anche nelle case degli altolocati foggiani. A tal proposito, nota è la commedia Gli effetti dell’educazione del 1797, realizzata dalla famiglia Villani- Marchesani.

Per la Capitanata il 1764 segna una svolta importante, sia demografica sia economica, che sfocerà nella realizzazione nel 1804 del teatro nuovo dedicato alla regina Maria Carolina. Il 1805 è distinto dal fallimento del teatro vecchio, dovuto all’incapacità e impossibilità della Dogana e del Comune di prendersene carico. E’ lo stesso anno in cui, un gruppo di altolocati, spinti dal desiderio di far fiorire un nuovo teatro, costituirono una società per dare alla cittadina foggiana la sua prima struttura teatrale. E’ nella piazzetta dell’Epitaffio, in un edificio medievale di proprietà dei padri scolopi, che nacque il teatro nuovo di Foggia di cui il marchese Rhodia chiese con regolare consenso, alla regina Maria Carolina, di intitolarlo in suo onore. Il teatro era gestito dalla famiglia Marchesani – Villani e dai Del Sordo, ai quali si aggiunse successivamente Michele Sarcinelli.

Nel decennio che va dal 1805 al 1815 nel Meridione si assistette alla dominazione francese con Gioacchino Murat.

Durante il regno di Murat unico evento rilevante, dal punto di vista teatrale, lo datiamo 1810, quando il signor Tommaso Zocchi di Firenze propose un programma teatrale di notevole rilevanza. Il cartellone comprendeva commedie di Goldoni, Alfieri e di autori celebri a quei tempi come Camillo Federici, Antonio Avellani e Giovanni Giroud. Ciò segna, a Foggia, il primo caso di rappresentazioni di prosa. Nel 1815 il trattato di Casalanza decretò la fine del regno di Murat e il ritorno dei Borbone l’inizio del Regno delle Due Sicilie, non provocando alcun disordine, tant’è che la fiera di maggio del 1815 si svolse regolarmente. Nonostante gli inconvenienti nel periodo dal 1815 al 1824, compresi i moti rivoluzionari che videro Foggia una delle città più vivaci, il teatro continua la sua attività e ciò è confermato dai carteggi tra le compagnie teatrali e gli impresari.

Nell’aprile del 1824 giunse una splendida notizia per la cittadina delle fosse: a maggio, dello stesso anno, sarebbe giunto in visita l’erede al trono e già duca di Calabria, Francesco. La notizia mise prontamente il Sindaco, il marchese Giovannantonio Filiasi, a lavoro per rimettere a nuovo il pericolante Maria Carolina. Il 20 maggio furono terminati i lavori di rifacimento del teatro e il 22 aprì le porte al futuro imperatore Francesco. Per l’occasione fu portato in scena Il trionfo della bella di Stefano Pavesi. Questa fu una delle ultime grandi serate per il Maria Carolina,  nel 1830 fu disfatto per far posto al nuovo teatro Ferdinando, inaugurato nel 1828. Il progetto del Real teatro Ferdinando , ubicato a largo San Rocco, fu ad opera di Luigi Oberty. Oberty fu nominato il 12 aprile 1820 ingegnere capo dell’Intendenza di Capitanata. A lui, i foggiani devono molto, in quanto, oltre alla progettazione del teatro, apportò importanti modifiche urbanistiche e realizzò consistenti opere pubbliche come l’orfanotrofio Maria Cristina, il pronao della villa comunale e altre abitazioni civili e religiose. Il costo complessivo del progetto ammontava a 54’697 ducati, una cifra enorme che comportò non poche complicazioni. Invero, da Napoli, nell’ottobre del 1826, giunse una lettera dal Ministro e Real Segreteria di Stato degli Affari Interni che comandava l’immediata sospensione dei lavori, perché si era notato, con assai ritardo, che la spesa assuntasi dal Comune fosse enorme per un bilancio non troppo prospero come il suo.

Grazie all’operato dell’Intendente Santagelo, i lavori ripresero e furono portati a compimento il 16 marzo 1828. Il 10 maggio dello stesso anno, in coesistenza con la fiera di maggio, fu inaugurato il nuovo teatro con la rappresentazione dell’opera di Pacini, La sposa fedele. Il compito di rendere produttivo la nuova struttura, la quale era la seconda per importanza dopo il San Carlo di Napoli, fu affidato all’ex impresario del Maria Carolina, Pasquale Campagnoli. E’ opportuno precisare che in realtà i lavori si conclusero realmente alla fine del ’28, in quanto rimanevano da completare alcuni dettagli come l’istallazione delle statue dei regnanti, l’arma del Comune sul timpano della facciata, il sipario anti incendio e altre piccole rifiniture. Ultimati i lavori ben presto affiorarono i primi problemi e difficoltà che resero difficile la vita del nuovo teatro regio. Le complicazioni erano di natura tecnica, gestionale, ovvero spese di manutenzione e di funzionamento, legati alla progettazione. La portata massima delle critiche volte ad Oberty e all’impresa appaltatrice dei lavori, arrivarono nel 1832. In seguito ad una violenta tempesta, la quale causò considerevoli danni alla struttura, si ebbe lo scoperchia mento del tetto e una profonda lesione nel muro maestro del retro teatro. Inevitabile fu la chiusura per inagibilità, la quale perdurò fino al 21 aprile 1837. Alla riapertura del Ferdinando la voglia di teatro da parte dei foggiani era talmente tanta da farne documentare l’apertura nonostante l’incombere del colera. E’ il conte Marulli a raccontare di come sabato 15 luglio del 1837 il Real Teatro Ferdinando era regolarmente funzionante e, soprattutto, ci riporta la notizia del miracolo della Madonna dell’Addolorata.  Dopo diversi anni di regolare, ma non eccelsa, attività, nella stagione 1843/44, Foggia potette godere della celebre compagnia stabile del San Carlo di Napoli, il San Carlino.

Quest’avvenimento ci offre uno spunto di riflessione sul motivo per cui spettacoli dialettali napoletani non vennero mai, eccezion fatta per il San Carlino, portati sul palco del Ferdinando. La spiegazione c’è data dagli stessi amministratori foggiani, i quali reputavano le commedie partenopee troppo popolari e di argomenti prettamente napoletani. Il periodo compreso dal 1848 al 1860, definito dagli storici “dodicennio grigio”, s’identifica col secondo periodo del teatro Ferdinando. Questi furono anni prosperi e sereni per la città, nonostante la difficile situazione politica, la quale influenzò il teatro attraverso la censura, utilizzata per arginare i moti pre-rivoluzionari. Il programma delle opere doveva essere preventivamente approvato dalla polizia, e ad ogni cambiamento andava dichiarato e sottoposto al visto di approvazione. A dispetto di siffatta restrizione, in questo dodicennio, assistiamo alla stabile presenza delle opere di Giuseppe Verdi e di altre opere di notevole spessore artistico, come Nabucodonosor, Luisa Miller e La casa disabitata di Lauro Rossi, questi sarà l’esaminatore del giovane Umberto Giordano nel 1889, e il Don Checco di Nicola De Giosa139. La caduta del Regno delle Due Sicilie, nel 1861, e la proclamazione del Regno d’Italia in Capitanata avvenne con relativa tranquillità. Ciò, si deve soprattutto all’Amministrazione Civica del Sindaco, Saverio Salerni, il quale rimase in carica anche dopo l’Unità. Nonostante il periodo “frenetico”, l’attività teatrale riprese regolarmente al Real Teatro Ferdinando, seppur con alcune novità, come l’introduzione dell’inno nazionale prima di ogni rappresentazione. Altra novità, comune all’intero regno, riguardava il nome del teatro che ovviamente non poteva più detenere l’appellativo del vecchio sovrano. Per l’ormai ex Real Teatro Ferdinando la questione del nome fu molto accesa. Inizialmente si pensò di dedicarlo a Giuseppe Garibaldi, ma ciò non fu possibile vista la presenza del Prefetto Cesare Bardesono De Rigras, proveniente da Torino e uomo vicino a Cavour. Successivamente si pensò di intitolarlo al re Vittorio Emanuele, ipotesi scartata per motivi politici. Alla fine si arrivò alla decisione “provvisoria” di ribattezzarlo Teatro Dauno, nome che avrebbe mantenuto per secoli se l’Onnipotente non avesse fatto dono a Foggia di un genio della musica come Umberto Giordano, da cui il teatro prese il nome dal 1928 e che detiene attualmente. Il 7 ottobre 1860, il Dauno, fu protagonista di una memorabile festa per solennizzare la liberazione del Meridione dai Borboni. Il primo periodo “nazionale” fu idilliaco per i foggiani e di fermento per la vita teatrale. In scena vennero portate, nella stagione del ’60, il Trovatore e il Rigoletto di Verdi, l’opera buffa di De Giora e del suo Don Checco e il Ritorno di pulcinella dagli studi di Vincenzo Fioravanti. Ben presto sorsero i primi problemi di natura politica ed economica, i quali travolsero anche il Dauno portandolo rapidamente alla decadenza. L’intera cittadina soffrì la perdita del ruolo di Vice regno e la conseguente perdita di importanza amministrativa ed economica. Ad ogni modo, per quanto riguarda il Teatro Dauno, oltre al vecchio problema delle spese di manutenzione si aggiunse quello legato al suo rinnovamento, legato alla nuova “concezione torinese”: apertura a tutte le classi sociali, mutamento del tipo di opere rappresentate legate a motivi ideologici e nuovi principi estetici nazionali . Tutte correzioni che richiedevano un radicale rinnovamento e una notevole spesa comunale. Purtroppo l’amministrazione comunale, per imposizione del governo centrale, non finanziò più il teatro. Tale decisione, assieme alla crisi della fiera di maggio, portò alla rovina del Dauno. Ciò nonostante nel periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizi Novecento, la realtà foggiana è caratterizzata da un accrescimento del teatro e delle attività teatrali. In questa ottica pare del tutto naturale che il foggiano più noto sia il compositore Giordano. Cresciuto musicalmente a Napoli, esponente della scuola verista, con un fortissimo senso del teatro, numerosi sono i suoi capolavori: dall’Andrea Chénier alla Fedora, passando per dalla famosissima Madame Sans-Gêne; quest’ultima rappresentata persino al Metropolitan di New York il 25 gennaio 1915. Giordano non fu il solo a portare in lungo e largo la teatralità foggiana: basti ricordare Evemero Nardella, compositore e direttore d’orchestra, nonché autore di due operette e musica leggere napoletana. La fine del secolo segna una autentico passaggio di fase. In una città che nel 1901 contava 53 mila abitanti e nel 1911 crebbe fino a contenerne 75 mila, migliorando la rete di servizi e caldeggiando il proliferare di iniziative culturali e teatrali.

Il secondo cinquantennio del Novecento, rimosse le macerie materiali e morali, fu caratterizzato dal debole libero associazionismo culturale, troppo ridotte le dimensioni di un’élite colta, legata al mondo della formazione o a quello delle professioni liberali, per poter costruire una massa critica in grado di esprimere, in questo settore, il necessario protagonismo. Il teatro, che era stato per la comunità foggiana, se non la celebrazione di una raggiunta dignità cittadina, almeno un simbolo di un’aspirazione, aveva conosciuto nel ‘900 un progressivo declino, fino alla sua utilizzazione come cinema di quart’ordine e luogo fatiscente. Un fenomeno al quanto inaspettato ma gradito colpì la città di Foggia: a partire dagli anni ’60 la situazione culturale subì una significativa svolta, favorita dalla generale ripresa economica dell’Italia. Un dato su tutti: il 29 aprile 1966, in un sol giorno, il Presidente del Consiglio, Aldo Moro, inaugurò il nuovo Museo e il teatro Giordano, restaurato e tornato nella disponibilità comunale, dopo un lungo e degradante periodo di gestione privata. Ad aggiungere lustro alla nuova fervida situazione culturale, fu il costituirsi del Teatro Club Foggia, sorto nel 1965 e operante sino al ’70. Nonostante la breve vita dell’associazione culturale, questa rappresentò, per l’ottima capacità di formulare e mettere in pratica idee innovative, un punto di riferimento per l’intero ambiente culturale dell’epoca. Fenomeno di poco antecedente a questa fioritura culturale, fu la diffusione di un nuovo tipo di teatro, che potrebbe essere definito underground, sorto nelle cantine o nei sottoscala piuttosto spaziosi degli edifici ove si riunirsi e svolgere attività culturale ed artistica. Quando tra gli anni ’40 e ‘50 in Italia si diffuse questa nuova moda, o esigenza, Foggia poteva vantare già il suo personalissimo teatro cantina, sorto nel 1944. L’attività scenica che qui si rappresentava non fu di certo di quelli all’avanguardia o impegnati, si pensa di più ad un teatro semplice, probabilmente progenitore dell’attuale teatro dialettale. Il teatro cantina in questione si trovava al n. 7 di Via De Nittis, una traversa di Corso Cairoli; qui si posero le basi per la compagnia stabile Arte Varia. Ispiratore e animatore di questa iniziativa fu Tony De Mita, successivamente aiutato da colui che darà l’ispirazione alla creazione della compagnia teatrale di Sant’Anna: Angelo Marsico. Nel dopoguerra si formò la cellula embrionale dell’attuale Piccolo Teatro, il Circolo Artistico 3 Bis; nato da un’orchestrina chiamata Parcker Boys ben presto si ritrovò a mettere in scena dei veri e propri varietà e commedie. In questi locali, però, non si rappresentavano ancora le colorite commedie dialettali: bisognerà aspettare al 16 giugno 1963, quando fece la sua comparsa sul palcoscenico del teatro comunale Umberto Giordano Nu baritene pe Marsiglia. L’opera meritoria va attribuita al poeta cultore del dialetto, Guido Mucelli, nonché direttore del teatro del Dopolavoro Ferroviario. Da qui ebbe inizio il teatro dialettale foggiano, unitamente alla nascita di tanti autori di poesie e poi di testi teatrali. L’entusiasmo si propagò immediatamente nel Circolo 3 Bis – Piccolo Teatro, e si pensò di allestire uno spettacolo originale dal titolo O pizze ‘a strade. La commedia impregnata di canti tradizionali e folclore locale, persino le scenografie richiamava i luoghi simbolo della città, riscosse enorme successo prima al Giordano, poi in altri teatri, persino a Torino. Sull’onda dell’entusiasmo si produsse un revival intitolato Ajìre e ogge. Nel 1973 Lino Cea scrisse A gente, che incontrò il largo favore del pubblico e che oggi rappresenta un classico del teatro dialettale foggiano. Successivamente molti furono gli scrittori che si cimentarono nella produzione di poesie e commedie dialettali, uno dei più noti furono sicuramente Raffaele Lepore, autore di Quann’ere uagliòone, Carosello foggiano e di I timhe so’ cagnàte; Giuseppe Esposto autore di Mò vi conte e di Perde nu pocke de timbe; e i vari Alfio Mosca, Alfredo Ciannameo, Tonino Lepore, M. Antonietta Pagliata. Personaggio indiscutibilmente legato al teatro dialettale foggiano è Mario Ricci. Nato come giornalista ma ben presto noto anche per le sue qualità di scrittore, senz’altro è uno dei massimi cultori del dialetto ed è autore del Vocabolario Foggiano-Italiano e Italiano-Foggiano, di Tuttteatro e Tutto teatro 2, raccolta di sue commedie, rigorosamente in dialetto, rappresentate con successo. Sua è infatti la commedia I Granezzuse, vincitrice del Primo Festival Provinciale del Teatro Vernacolare, e Une a me e n’ate pure, sempre vincitrice alla seconda edizione del festival. Fu il plebiscito di consensi della commedia U sceruppe pe fa’ i figghije, nata dall’adattamento della Mandragola di Machiavelli da parte di Ricci, a dar definitivamente vita al Piccolo Teatro di Circolo 3 Bis. Il Piccolo è da sempre un punto di riferimento del teatro dialettale foggiano, assieme a quello di Sant’Anna di Lorenzo Moffa e Antonio De Pellegrino. Un discorso a parte merita il Piccolo Teatro di Foggia che ha dato, e continua a dare, spazio alla divulgazione teatrale del dialetto, nei suoi oltre sessant’anni di vita. La compagnia tra alti e bassi, cambi di nomi e tra successi più o meno condivisi, arrivò ad una nuova svolta con la gestione di Enzo Marchetti che come primo provvedimento la ritornò al vecchio nome di Piccolo Teatro, prima di allora fu noto come Teatro Club Foggia. L’attività riprese in pieno e dopo un periodo di rifacimento dei locali e di ammodernamento degli stessi, il locale riaprì i battenti nella stagione 1997-98; il nuovo calendario comprendeva Triangolo siciliano di Vasco, A gente di Cea, U murte de sùbbete e Mannagge a’i tasse di Ricci. Elencare i programmi delle successive stagioni teatrali risulterebbe un lavoro di mera archiviazione di successi su successi di commedie dialettali. Diversa per natura e per storia è la rappresentazione di Filumena Marturano, che chiuse la stagione del 2004. Il rifacimento del classico di Eduardo De Filippo, con trasposizione in dialetto foggiano operato da Ricci, con la regia e l’interpretazione di Marchetti, fu una vera e propria sfida per chi, come Marchetti, ha il giusto timore referenziale per un grandissimo del teatro italiano. La rappresentazione ebbe talmente tanto successo da far sì che Filumena, il 28 aprile 2005, uscisse dall’underground per essere apprezzata da un pubblico più vasto del Teatro Ariston.

è del musical di questa estate!!! peter pan!!!!

Mario del Sordo in una rappresentazione del musical “Peter Pan”
-Estate 2013-

Nel corso degli anni sono state molte le compagnie teatrali che si sono avvicendate nel ruolo di promotori di cultori del folclore locale: J Mast, La Risata, Le Maschere ed altre. Ultima in ordine di tempo è compagnia teatrale Enarchè di Carlo Bonfitto. Nella stagione teatrale 2000/2001 esordì sul palcoscenico del Teatro Regio di Capitanata, la neonata associazione culturale Enarchè. L’associazione Enarchè si costituì nel dicembre del 2000, per volontà del presidente Carlo Bonfitto e di un gruppo di giovani attori: Michele Norillo, Mirna Colecchia, Guido Boccuzzi, Giovanni Mancini e Antonella Viggiano. La prima assoluta porta la firma di Michele Norillo che curò la regia di Nu Sande sope a terre. La riscoperta della bellezza della lingua foggiana passa pure, e spratutto, presso la Circoscrizione Croci. Questa ha permesso l’apertura dell’Università del Crocese, dove al fondo dell’attività risulta lo studio del vernacolo crocese, che si differenzia dal classico dialetto foggiano. L’animatore di questa istituzione è Felice Stella, autore di A radice d’i cruc’se , di Vernaculame ck’i crucise e di Proverbi foggiani. Restando nella zona rionale di Borgo Croci, viene alla mente un pensiero del poeta e drammaturgo sovietico Majakovskiy: egli sostenne che qualsiasi teatro ha a che fare col vetro, sia specchio che riflette o che sia lente che trasforma, è sempre e comunque in relazione visuale con la comunità. Il pensiero del drammaturgo sovietico è perfettamente applicabile al teatro sant’Anna di Foggia, intitolato a Padre Pio di Pietrelcina. Fin dal suo sorgere, infatti, questa struttura collocata nell’anima antica del capoluogo del Tavoliere, si è così bene e profondamente radicata nel suo territorio di riferimento da farne un luogo di identità condivisa, di elaborazione culturale che coinvolge insieme attori e spettatori. L’Associazione Culturale e Teatrale Padre Pio da Pietrelcina, nasce nel folkloristico quartiere di Borgo Croci, al fine di dare un qualcosa di diverso agli abitanti. Col tempo il circolo teatrale costituì il primo centro di ricerca della tradizione popolare foggiana ed allo stesso tempo cercò di ravvivare e riscoprire quei valori culturali che delineano l’animo del nostro popolo, proprio attraverso le rappresentazioni teatrali.

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