Foggia nel rifugio

“Lampi, storie & scorie di  una guerra”

Foggia nel rifugio

di Raffaele de Seneen e Romeo Brescia

         Probabilmente le bombe dall’alto se le aspettavano (Era pur stata dichiarata una guerra!),  forse non così tante, e non così poco intelligenti, da dover come in un gioco, un gioco di guerra, attrezzarsi con un minimo di scenografia, come a creare l’ambiente, la location: oscuramento, coprifuoco, un po’ di contraerea, i rifugi antiaerei.

Rifugio Tubolare 1

RIFUGIO TUBOLARE PRESSO VILLAGGIO AZZURRO “GINO LISA” – FG –

Rifugio 1

SCANTINATO PALAZZO “PERSICHETTI” utilizzato come rifugio nel 1943

I rifugi, quelli fatti a bella posta, i “tubolari”, una trincea scavata nel terreno con un minimo di copertura, una porta di legno per accesso, e quelli adattati alla bisogna e sfruttati,  gli scantinati dei palazzi più grossi, di più recente costruzione: il Palazzo uffici O.N.C. (ora Consorzio Generale di Bonifica) di fronte al Palazzo degli Studi, inizio Corso Roma, il Palazzo Persichetti che ancora guarda su Piazza San Francesco, ecc.

Ma cosa succedeva subito dopo l’allarme che avvisava dell’arrivo di formazioni aeree e la corsa verso un rifugio, ce lo racconta Giovanni Tortora in un resoconto giornalistico dell’epoca così titolato:

A FOGGIA: 19 agosto 1943 – “Una piccola ragazza rossa” –

Entrò nel rifugio insieme con la folata di aria calda che annunciava il primo sgancio.

Era una ragazza di 19 o 20 anni,vestita con trascuratezza,con un’aureola di capelli rosso rame che le incorniciavano il visino pallido dandogli infocati riflessi rossastri. Due grandi occhi scuri, intelligenti ed un nasino aggraziato leggermente coperto da lentiggini, completavano i particolari di quella sconosciuta ragazza che ora cercava un posticino a sedere nell’affollato ricovero improvvisato.

Ma quello che maggiormente m’impressionava nel suo aspetto era la calma di cui dava prova. Una calma,una tranquillità d’animo che la staccavano nettamente dalla normale folla che la circondava in preda a un panico sempre crescente amano a mano che le bombe esplodevano in città con un ritmo lugubre di tam tam della morte.

Romeo Brescia

Il pavimento del rifugio sobbalzava quasi per una forza misteriosa ed ultraterrena e sembrava dovesse inchiodare tutti per sempre da un momento all’altro. I nervi tesi al massimo facevano considerare l’avvenimento sotto una luce strana, inqualificabile, un misto di tristezza, di pietà, di terrore, di paura.

Chiusi per un attimo gli occhi mentre la sinfonia della Morte continuava implacabile con un crescendo spaventoso. Li riaprii subito per considerare il mondo di lamenti, di pianti, di grida che mi circondavano nella penombra.

Un soldato, un piccolo artigliere si tormentava per un attacco epilettico su una panca di fronte alla mia. Una ragazza vedeva la sua mamma morta, la sua casa, le sue cose distrutte e con il suo pianto rumoroso finiva di impressionare i pochi meno impressionati.

Sola a mantenere la calma, la ragazza rossa su e giù per quelle quattro tremanti pareti, a rincuorare questo a dar da bere a quello,piccola infermiera volontaria di vita e di speranza in un mondo che già vedeva  la  Morte e la temeva considerando in quei momenti più che mai la bellezza e la gioia della Vita.

Fu allora che fissai negli occhi quella sconosciuta. Adesso era affianco al soldatino e cercava di calmarlo con una sicurezza di se stessa eccezionale. Sorrideva sempre. Mi parve ad un certo momento di sentirla anche fischiettare. No, non era una pazza.

La chiamai elogiandola per la calma che dimostrava, piccola donna senza una lacrima, tra tanti uomini che piangevano come bambini, schiacciati dalla paura.

Seppi così che anche lei aveva la mamma e il babbo che non si muovevano mai di casa perché temevano quella “trappola” ed i rifugi,mentre a lei non piaceva la solitudine e voleva essere utile a qualcuno.

Adesso la sua calma si trasmetteva anche a me e mi diceva che non c’era ragione di temere, che tutto sarebbe passato, anche quella benedetta paura di morire chemie faceva gelare il sangue ad ogni sgancio.

Ma ecco un’altra ondata. Qualcuno sussurrò tra sé e sé in un sospiro:”sulla stazione… al Piano delle Croci… al Viale….” Come se ricevesse un invisibile bollettino indicatore da qualcuno degli alati messaggeri di morte che ronzavano sulle teste.

La porta si aprì improvvisamente lasciando entrare nel rifugio insieme ad una nuvola di polvere e fumo una donna con i vestiti a brandelli,con il terrore nel volto e negli occhi spalancati. Era una madre che mentre si dirigeva di corsa al rifugio aveva perduto la sua bambina di tre anni che una forza misteriosa le aveva strappato dalle mani mentre una bomba le era caduta vicina. Ed ora a lei che era in condizioni pietosissime e gridava come un’ossessa si dirigevano le cure della mia ragazza rossa. Non la lasciò un minuto. Poi, quando parve che la bufera fuori si fosse calmata, volle uscire per cercare quel bambino e restituirlo alla madre.

Cercai di dirle qualche parola, di convincerla che ancora il pericolo non era cessato,ma qualcosa nel suo sguardo più chiaro e calmo che mai non me ne diede la forza.

La vidi uscire sorridendo verso quella madre angosciata, orgogliosa di compiere un’opera di bene, rivolgendosi a me con un allegro cenno della mano al quale risposi mio malgrado con un sorriso.

Poi, ad un tratto, la tempesta di bombe riprese. Sembrava un’ondata interminabile che costituisse il finale rumoroso di quel terribile ballo della Morte…

Al Piano delle Croci, tra tante macchie rosse una più grande di tutte sorrideva per l’ultima volta al bel cielo d’agosto….

 

 

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