L’URIA E DINTORNI
di Raffaele de Seneen e Romeo Brescia
L’uria della casa, per noi foggiani lo spirito protettore del focolare domestico che sovraintendeva al benessere economico della famiglia ed a quello fisico dei suoi componenti.
L’uria, una protezione invisibile che aleggiava all’interno delle mura domestiche, riconosciuta e rispettata: “Nen gastemànne ca’ l’urije s’a pìgghje!”, non bestemmiare altrimenti l’uria se la prende a male, quindi può girare le spalle e privare della sua protezione.
Banalmente, già un deterrente alla bestemmia, ad un dissidio che poteva sorgere in famiglia, alla rabbia per le cose che non andavano per il verso giusto..
All’uria, ma con diverse funzioni, si aggiungeva, anche questo ospite della casa, lo “scazzamurriello”, u’ scazzamurrìlle, con la sua berretta rossa a coprire un corpo di un uomo in miniatura, non un nano (mi raccomando!), insomma un folletto, tipo burlone e allo stesso tempo dispettoso immediatamente individuato come l’unico colpevole di occultamento di oggetti che al momento servivano e non si riusciva a trovare. Si divertiva a far trecce alle criniere dei cavalli costringendo i proprietari a lunghe operazioni per rimetterle in ordine.
Tipo anche fastidioso, specie quando di notte si poneva a cavallo fra pancia e stomaco di un dormiente procurandogli un sonno agitato e brutti sogni. Ma si dice che a volte proprio nel sogno, in un raro momento di bontà e compiacenza, segnalasse un posto dove era nascosto un tesoro, una “fasina” piena d’oro o di marenghi.
Mai nessuno è riuscito a trovare questo tesoro per non aver eseguito alla lettera le istruzioni impartita dallo scazzamurriello, se la “fasina” veniva trovata, dentro c’era del carbone.
Più sicurezza la gente del popolo la riponeva in un ferro di cavallo attaccato dietro la porta, alla forma delle forbici aperte impressa sul muro esterno dell’abitazione, a corni appesi e cornetti da portare addosso.
Questo per il “popolino”, e i “signori”!?
Questi, a parte l’uria e lo scazzamurrillo si attrezzavano diversamente.
Mascheroni apotropaici (dal greco apotrépein, allontanare) sull’archivolto del portone d’ingresso, o a sostegno delle basole dei balconi servivano a scongiurare, ad annullare i flussi malefici, e forse anche a spaventare qualche male intenzionato. Ma anche sul muro di facciata del palazzo o palazzotto attraverso alcuni “comodi”, come attacchi per i cavali, porta-spegni-torcia, a cui si davano forme particolari come la testa di un moro (Mamma li turchi!), o della Medusa, e ancora sulle cantonate.
La protezione si estendeva fino all’apice della struttura, al tetto, dove anche i canali di gronda esterni, i doccioni, assumevano particolari raffigurazioni: mostri grotteschi e inquietanti detti “gargolle”, da latino gargullium, che indica il rumore, il gorgoglio dell’acqua.
Un simbolismo arcaico che affonda le radici nella notte dei tempi: i guardiani della soglia, la tutela sacrale del varco.
Il fenomeno, e questo tipo di simbolismo, travalicano ogni confine territoriale, può poi tipicizzarsi nel nome e nel soggetto a livello localistico come le “Marcolfe” così chiamate in Emilia, termine che deriverebbe dal germanico MARK (confine) ULF (lupo), quindi il lupo a guardia dei confini.
Dal lupo al cane, entrambi custodi dell’ingresso dell’oltretomba, al “marcalupo” calabrese (marca = confine), al nostro “lupomannaro”, ma quella è un’altra storia.
Per concludere, pare giusto segnalare che anche su antichi edifici religiosi come le chiese della cristianità erano presenti questi “segni”: gargolle, faccioni e mostri spaventevoli allo scopo di tenere lontani gli spiriti malvagi, mentre altra tesi porta a pensare che la loro presenza rappresentasse un invito ad entrare nel luogo di culto per proteggersi e rifuggire dagli spiriti maligni che aleggiavano al suo esterno.
Oltre al palazzo De Nisi-Bruno un numero rilevante di Mascheroni apotropaici li troviamo al palazzo Galiani-Filiasi, attuale sede dell’Archivio di Stato di Foggia, come ornamento dell’architrave in legno delle porte di accesso interne e sulla chiave di volta del portone principale.