Il carnevale foggiano

IL CARNEVALE FOGGIANO

di Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

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         Più nei detti che nei fatti: “Sant’Andùne,  màsc’kere e sùne”; nella ricorrenza di Sant’Antonio Abate (17 gennaio), maschere e suoni aprono le porte al carnevale e a tutte le sue manifestazioni che non sembra abbiano avuto nella nostra città né radici lontane, né momenti di rilevanza pubblica e collettiva: sfilate, carri, ecc. se non per un periodo breve e circoscritto.

Più una cosa di quartiere forse, quartieri poveri, dove l’occasione si presentava propizia per esorcizzare il quotidiano faticoso, approfittare per mettere qualcosa di più in tavola,”esagerare”, rispetto alla normalità, e per qualche scherzo, a volta pesante, vista la franchigia esistente che “a carnevale ogni scherzo vale”.

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Poche e povere le maschere locali: la pacchiana o pacchianella, una contadinella meglio vestita del solito, se mai  “inguarnasciata” di collane e pendenti alle orecchie; il “monaco cercante”, di tradizione terrazzana, che entrava nelle case con qualche aiutante e fra il dire e il fare doveva trovare l’occasione di sottrarre qualcosa di commestibile. La fame, sempre la fame!

Carnàvale, carnevalìcchije,

dàmme nu pòche de zavezìcchije,

e si nen m’a vuije da’

pu – zza   sc’ka – ttà.

         E poi Menìlle:  frak, tuba, bastoncino e un asino tenuto per la fune. Il resto, di cui si racconta, più che maschere erano personaggi caratteristici effettivamente esistiti, maliziosamente attenzionati dai grandi, più spesso sgarbatamente dai ragazzi, così da Scìmme Sciàmme (o Sciàmme Sciàmme) un solitario venditore di cardoni che per le strade, nel suo logoro pastrano militare, gridava: “Cardùne, cardùne attannùteeeeee!!”,  a Zechìlle, più probabilmente Ze’Chìlle, zio Michele, perché quello era il suo nome, molti lo ricordano ancora, fra gli studenti, la mattina, avanti al Palazzo degli Studi a chiedere una sigaretta.

Mi risulta, racconti d’infanzia, che partecipasse al palio, forse in occasione proprio del carnevale, gare a base di grandi mangiate di maccheroni senza usare la forchetta e con le mani legate dietro la schiena, o la conquista di una moneta attaccata sotto il fondo ricoperto di nerofumo di un pentolone da staccare con la bocca. Con lui a competere un’altra “maschera”: Ursìne, Ursìne Stagnarìlle, anche lui sicuramente un “personaggio” veramente esistito. Ursìne, da orso, perché per attrarre l’attenzione imitava il ballo dell’orso vestito di panni tintinnanti per effetto di coperchi di scatole di cromatina per le scarpe (stagnarìlle) che opportunamente aveva applicato sopra.

Le maschere non hanno figli, Ursìne Stagnarìlle si, ne aveva uno: Accetìlle (sedano), il loro assillo era quello di poter mangiare almeno una volta al giorno, così ogni tanto, nei momenti di assoluta ristrettezza,  Ursìne ricorreva ad una finta morte stendendosi sul pavimento del suo basso-grotta mentre Accetìlle con grida strazianti attirava l’attenzione dei passanti. La pietà dei vicini, almeno per quel giorno, avrebbe garantito un piatto caldo per Accetìlle, da dividere col padre appena risorto.

Si racconta, ancora l’infanzia che torna, che un giorno i due, padre e figlio,  stavano consumando una bella zuppa di fagioli che avevano rimediato, e mentre mangiavano Accetìlle scoppiò in lacrime, al che il padre gli chiese: “Acceti’, pecchè chiàgne?”,  Accetìlle tirò su col naso e disse: “Pecchè se stànne fenènne ‘i fasùle!!!”.

Carnevale

Se a Foggia non c’è stato un vero e proprio carnevale cittadino, sicuramente nelle famiglie, famiglia allargata anche a vicini ed amici, il carnevale veniva “celebrato”, preparandosi anche per tempo, vestimenti, scherzi, ecc., ma il tutto veniva fatto evitando ostentazioni.

I travestimenti figli dell’arte dell’arrangiamento, del rimedio e dell’accomodamento per qualche ora di svago e divertimento.

 

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